Le sette meraviglie dell'antichità

Le sette meraviglie dell'antichità

Introduzione

Il più antico elenco completo delle sette meraviglie dell'antichità risale al II secolo a.C. ed è contenuto in un frammento di papiro di età tolemaica . Questo argomento è stato ripreso in seguito da autori latini quali Vitruvio (I secolo a.C.) e Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) e ha suscitato un notevole interesse soprattutto nel periodo rinascimentale.

La piramide di Giza (fig.01)

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fig.01

Per la storia della più famosa meraviglia dell'antichità rimando alla lezione Antico Egitto (paragrafo dedicato all'arte). Quando parlano delle 7 meraviglie gli autori dell'antichità fanno riferimento in generale a tutte e tre le piramidi di Giza (Cheope, Chefren Micerino) o solo a quella di Cheope. Quest’ultima ha base quadrata, i lati misurano 230 m, l'altezza originaria era di oltre 146 m: essendo stato costruito in pietra calcarea gli agenti esogeni ne hanno eroso la cima causandone l’abbassamento. Il monumento copre un’area che supera i cinque ettari ed è stato realizzato con 203 filari di pietre (oggi se ne contano solo 203 perché manca la parte superiore). Come ho spiegato nella lezione sull’Antico Egitto, per poter erigere la piramide si è costruita una rampa, poi inglobata nella costruzione. Un’altra ipotesi parla di blocchi sollevati grazie all’impiego di leve rinforzate alle estremità da placche di metallo. All'interno si trovano corridoi ascendenti e discendenti e camere funerarie. Alcuni blocchi conservano il marchio di cava a vernice rossa con il nome di Cheope (quarta dinastia 2613- 2494 a.C.). Sono stati rinvenuti anche condotti di areazione per gli operai che, per terminare la cotruzione, erano rimasti sigillati al suo interno. La piramide di Micerino (fig.02) aveva i lati lunghi circa 105 m ed era stata realizzata con la pietra calcarea rosa di Assuan e con  calcare bianco di Tura. Quella di Chefren (figlio di Cheope) (fig.03) aveva i lati lunghi 215 m e un'altezza di oltre 143 m ed era stata edificata con pietra calcarea di Tura così come quella di Cheope. Del complesso faceva parte la Sfinge (fig.04) (vedi lezione antico Egitto).

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fig.02
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fig.03
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fig.04

I giardini pensili di Babilonia (fig.05)

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fig.05

Hanno parlato dei giardini pensili di Babilonia autori importanti come Diodoro Siculo, Strabone, Berosso, Filone (vedi sitografia). Tuttavia, questa meraviglia non viene menzionata né dalle fonti babilonesi contemporanee, né da Erodoto (vedi sitografia). Secondo le testimonianze a nostra disposizione questi giardini sono stati realizzati dal re babilonese Nabucodonosor II, al governo tra il 604 e il 562 a.C. Il sovrano, infatti, diede ordine di abbellire Babilonia con splendidi monumenti ed edifici religiosi e di costruire questi giardini per amore di una sua concubina persiana nostalgica della sua terra natia. La città di Babilonia si componeva di due cinte murarie, una interna e l'altra esterna, ed era attraversata dal fiume Eufrate (fig.06)

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fig.06

Ad est della pianta della città si trovavano gli edifici principali, tra cui la ziqqurat dedicata al dio Marduk (fig.07). Arteria importante era la strada delle processioni e la famosa porta di Ishtar, alta oltre 20 m, fiancheggiata da due torri e realizzata con mattoni smaltati azzurri con fregi di draghi e tori simboli del dio Marduk (fig.08). La dea Ishtar era l'equivalente della egizia Iside e della fenicia Astarte. Questa porta, insieme ad altre 7 (tra cui quelle di Marduk,Ninurta,Uras, Enlil, etc.) scandivano la cinta muraria interna. Nel palazzo meridionale avevano sede gli ambienti destinati all'uso amministrativo e quelli privati del sovrano. Nel cortile centrale dell' edificio è stato esposto il corpo di Alessandro Magno, morto proprio a Babilonia nel 323 a.C.

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fig.07
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fig.08

Diodoro Siculo nel I secolo a.C. e Strabone nel I secolo d.C. ci dicono che i giardini pensili avevano terrazze su più livelli e ne sottolineano la vicinanza col fiume Eufrate. Filone di Bisanzio nel II secolo a.C. riferisce di una vegetazione lussureggiante, animata da zampilli e giochi d'acqua (fig.09). Secondo recenti ricostruzioni il sistema di irrigazione era basato su ruote di legno su cui erano fissati vasi di argilla o secchi di legno che raccoglievano l'acqua dal basso per scaricarla in alto all’interno di condotti. Grazie agli autori antichi conosciamo la struttura dei giardini ma non la loro esatta localizzazione nel palazzo meridionale. Non solo: recenti studi li individuano a Ninive, nel palazzo del re assiro Sennacherib, e non a Babilonia: questo perché le fonti classiche hanno fatto spesso confusione tra le due città. Tutto ciò sarebbe confermato dall’assenza nelle fonti babilonesi di menzioni ai giardini mentre se ne parla in quelle assire. 

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fig.09

La statua di Zeus nel tempio di Olimpia (fig.10)

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fig.10

Ad Olimpia si ergeva un maestoso santuario dedicato a Zeus edificato, secondo Pausania (vedi sitografia), nella prima metà del V secolo a.C. dall'architetto Libone di Elide proprio in questa città perché vi si disputavano ogni quattro anni i famosi giochi sportivi (vedi lezione antica Grecia Alimentazione e sport). Il tempio era in stile dorico con sei colonne sui lati brevi e 13 su quelli lunghi. Il naos era caratterizzato dalla presenza di 7 colonne doriche e nella parte retrostante era presente un opistodomo (vedi lezione antica Grecia L'arte). La cella doveva ospitare la gigantesca statua di Zeus realizzata da Fidia, colui che aveva coordinato nel V secolo a.C. i lavori di ristrutturazione dell'Acropoli di Atene ed  era stato l’artefice della decorazione scultorea del Partenone insieme alla statua, oggi andata perduta, di Atena Parthenos (vedi lezione antica Grecia L'arte). Il celebre architetto si era rifugiato ad Olimpia dopo che fu costretto a lasciare Atene in seguito all'accusa di appropriazione indebita dei materiali preziosi che dovevano servire alla realizzazione della statua della patrona di Atene (vedi lezione Antica Grecia L’arte). Ad Olimpia sono venuti alla luce anche i resti del laboratorio dell’artista (trasformato nel V secolo d.C. in chiesa bizantina) insieme ai cocci della brocca da cui versava il vino (vedi lezione antica Grecia Alimentazione e sport). Sempre in questo ambiente gli archeologi hanno rinvenuto tracce di avorio e di pasta vitrea con cui dovevano essere stati realizzati rispettivamente le parti nude del corpo e gli occhi dell'enorme statua crisoelefantina (di oro ed avorio). Le dimensioni erano gigantesche: il basamento occupava un'area di 6 m per 10 e l'altezza probabilmente superava i 12. Secondo Strabone se la statua si fosse alzata avrebbe scoperchiato il tetto del tempio. Le fonti a disposizione su questa meraviglia sono gli scritti di autori dell'antichità e i resti che gli archeologi hanno rinvenuto in loco. Come si è già detto, la statua aveva le parti nude in avorio mentre il mantello e gli attributi di Zeus erano realizzati in oro. Il dio reggeva sulla mano destra la nike (vittoria) mentre con l'altra impugna uno scettro con sopra l'aquila, il suo simbolo. Il trono era decorato con avorio, pietre preziose, ebano. I braccioli mostravano delle sfingi che afferravano fanciulli tebani. C'era una balaustra di marmo che la separava dal resto della cella: su di essa erano illustrate scene mitologiche in accordo con i fregi che decoravano il tempio (Eracle e Atlante, la Centauromachia, Prometeo liberato da Eracle, le Esperidi con i pomi magici ) (vedi per la spiegazione dei miti la lezione Antica Grecia Il mito e la religione) . C'erano inoltre scene che commemoravano la vittoria greca sui Persiani nella battaglia di Salamina del 480 a.C. ei momenti precedenti la gara tra Pelope ed Enomao proprio perché si voleva far riferimento al mito che spiegava l' introduzione della competizione delle gare con le quadrighe all'interno dei giochi olimpici (vedi lezione antica Grecia Il mito e la religione). Davanti la scultura di Zeus c'era un pavimento con lastre di pietra scura con sui bordi una fascia di marmo bianco in cui era contenuto l'olio con cui veniva cosparsa la scultura per proteggerla dalla forte umidità. I discendenti di Fidia avevano il compito di occuparsi della tutela dell'opera ed abitavano non lontano dal laboratorio in cui operava l'architetto. Al contrario di molte rappresentazioni che raffiguravano il re degli dèi, in questa statua monumentale Zeus è rappresentato in un atteggiamento benevolo nei confronti degli uomini, ma allo stesso tempo vittorioso e arbitro dei loro destini. Qual è stata la sorte del Zeus di Olimpia? Stando a quanto ci dice Svetonio  nel suo De Vita Caesarum (vedi sitografia) ,  l'imperatore Caligola  nel I secolo d.C. aveva cercato inutilmente di trasferire l'opera a Roma perché voleva sostituire il volto originale con la propria effigie. Nel IV secolo d.C. la statua è stata trasferita Costantinopoli in un palazzo di proprietà di un certo Laurus, persona molto in vista che custodiva una ricca collezione di reperti antichi. Qui l'è rimasta fino alla sua distruzione avvenuta in un incendio nel 475 d..C .

Il tempio di Artemide ad Efeso (fig.11)

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fig.11

 

Il tempio di Artemide ad Efeso era considerato dagli abitanti della città un importante punto di ritrovo e fulcro economico della società. La dea Artemide era infatti molto venerata nell'antichità e viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo giungevano a renderle omaggio e ad offrirle ex voto. Non a caso gli Atti degli apostoli narrano che, quando arrivò in città San Paolo di Tarso per predicare il cristianesimo, la popolazione non fu molto contenta perché tutto ciò sarebbe andato ad inficiare gli affari commerciali e il prestigio religioso di Efeso. Anche per questa meraviglia disponiamo di due fonti principali che ci forniscono informazioni: i testi antichi e gli scavi archeologici. Questi ultimi hanno portato alla luce resti risalenti a epoche differenti a partire dall'età micenea (XIV secolo a.C.) fino ad arrivare ai templi del VI e del IV secolo a.C. La struttura che risale al 560 a.C. è stata un caposaldo dell'architettura greca sia per il numero di uomini e i mezzi tecnologici impiegati che per la ricca decorazione e il massiccio impiego di marmo. La vera sfida in realtà fu quella di riuscire a edificare il tempio su un terreno paludoso e per questo l'architetto deputato (quel Theodoros impegnato nella realizzazione del tempio di Hera a Samo) suggerì di collocare carboni di legno e cenere alla base delle fondazioni di scisto. Il marmo dell’Artemision proveniva da Belevi in Anatolia. Gli scavi archeologici hanno fatto ipotizzare la presenza di 106 colonne, con capitelli ionici, che superavano i 18 metri. Gran parte delle tegole del tetto erano in marmo. L'interno era forse a cielo aperto (fig.12)

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fig.12

Nei fregi erano rappresentate scene di processione. Il primo tempio venne distrutto nel 356 a.C. da un incendio appiccato da un certo Erostrato (fatto testimoniato dalle tracce di bruciato). Cicerone e Plutarco (vedi sitografia) raccontano che la notte in cui è avvenuto il disastro era quella in cui era nato Alessandro Magno. Quest’ultimo, quando giunse ad Efeso durante la sua spedizione contro i Persiani, si offrì di pagare le spese per la ricostruzione. Gli Efesini non vollero però accettare perché non trovavano giusto che un dio rendesse onore ad un altro dio e preferirono farlo a loro spese (soprattutto le donne che erano particolarmente devote ad Artemide). Nella seconda metà del V secolo venne bandito un concorso per la realizzazione di una statua in bronzo raffigurante l'Amazzone ferita (fig.13) (il poeta Callimaco nell’Inno ad Artemide ricorda che il santuario era stato fondato dalle leggendarie donne guerriere). 

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fig.13

Tra gli artisti che vi parteciparono c’erano Fidia e Policleto (vedi lezione antica Grecia L'arte). Quest'ultimo vinse la competizione, ma anche tutte le altre opere in gara vennero collocate sul frontone del tempio. Nel secolo successivo lavorarono alla decorazione scultorea anche Skopas e Prassitele (vedi lezione antica Grecia L'arte). Il tempio era luogo di asilo per coloro i quali vi si recavano al suo interno per chiedere protezione. Molti imperatori romani, tra i quali Augusto, parteciparono al suo restauro. Alcune monete di età romano- imperiale riportano la raffigurazione del tempio di età tardo classica con la statua di Artemide. L’Artemision venne distrutto dagli Ostrogoti nel III secolo dopo Cristo. I suoi resti vennero utilizzati in seguito per costruire la chiesa di San Giovanni

Mausoleo di Alicarnasso (fig.14)

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fig.14

Il mausoleo di Alicarnasso è un monumento funerario fatto costruire a glorificazione della propria memoria dal re della Caria Mausolo (fig.15) (377- 351 a.C.). Probabilmente la tomba è stata portata a termine dalla sorella sposa Artemisia dopo la sua morte. 

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fig.15

La struttura si ergeva su un'ampia terrazza e doveva essere ben visibile anche dall'area sottostante. Era inoltre collocata vicino la via principale di Alicarnasso. Sulla sommità si ergeva una quadriga. La camera funeraria ospitava le ceneri di Mausolo. Nel corridoio sono stati rinvenuti frammenti di un sarcofago in marmo bianco forse appartenenti ad Artemisia che morì due anni dopo il marito. Nei pressi del mausoleo è stato trovato un deposito con parti della decorazione architettonica e frammenti di statue riconducibili a entrambi i coniugi oltre ad una testa del dio Apollo, leoni, ecc. Le fondazioni del monumento, realizzate in pietra vulcanica verde, coprivano un'area di 32 m per 38. È stato lo scrittore latino Plinio a parlare del monumento nella Naturalis Historia esaltandone le splendide raffigurazioni quali l’amazzonomachia di Skopas (vedi lezione Antica Grecia L'arte). C'erano poi scene della centauromachia, scene di gare tra carri, statue di enormi dimensioni, scene di caccia e di lotta. Tra le colonne figuravano statue che celebravano gli antenati di Mausolo. L'esterno era realizzato con lastre di marmo bianco, calcare bluastro e marmo pentelico. I fregi erano colorati di rosso e oro e avevano lo sfondo di colore blu. Ripetuti terremoti ne  hanno danneggiato la struttura nel corso dei secoli. A dare il colpo di grazia sono stati i Cavalieri dell'ordine di San Giovanni che l' hanno utilizzato come cava di materiali di reimpiego per costruire il loro castello arrivando al punto di bruciarne i resti per ottenere la calce. Nelle mura dell' edificio sono state reimpiegate le lastre del fregio rappresentanti l’amazzonomachia.

Il colosso di Rodi (fig.16)

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fig.16

Non sappiamo molto di questa meraviglia dell'antichità perché sono poche le notizie che ci sono pervenute. Diodoro Siculo nella Biblioteca storica parla della storia di questa colossale statua e ci dice che verso il 300 a.C. Demetrio Poliorcete, figlio di Antigono Monoftalmo, compagno d'arme di Alessandro Magno e uno dei suoi successori, assediò la città di Rodi colpevole, a suo dire, di essersi schierata a favore dell'Egitto governato dai Tolomei, nemici degli Antigonidi. Pur avendo impiegato tutti i mezzi tecnologici allora tra i più avanzati, il tentativo di conquista fallì miseramente. Fu trattata la pace e vennero vendute le macchine abbandonate da Demetrio che erano state utilizzate per l’assedio. Con il ricavato i Rodioti decisero di finanziare la costruzione di questa enorme statua bronzea rappresentante Helios, il dio Sole Liberatore, protettore della città. In realtà, in età ellenistica c'erano già stati esempi di statue colossali realizzate da Lisippo o, basti ricordare, l'Eracle seduto di Taranto. Incrociando le notizie forniteci da Plinio nella Naturalis Historia, Strabone, Filone possiamo ipotizzare che la statua fosse alta 32- 33 m ed é stata realizzata in 12 anni per poi essere abbattuta da un terremoto avvenuto verso il 227 a.C. Si dice che fino all'epoca romano-imperiale l'opera non fu ricostruita perché così aveva deciso un oracolo: in realtà ciò non era avvenuto a causa degli ingenti costi che avrebbe comportato e per l'enorme impressione che il suo crollo aveva provocato nella popolazione. Dopo la ricostruzione, avvenuta in epoca adrianea, il colosso è crollato nuovamente attorno al 155 d.C. Filone ci dice che la statua è il frutto di assemblaggi di parti fuse separatamente e poi montate in progressione partendo dai piedi. All'interno vi erano stati posizionati dei massi per assicurarne la stabilità. Sappiamo che l'opera aveva l'effigie di un giovane nudo con una torcia e una lancia in mano (la luce era infatti simbolo della libertà). Al colosso di Rodi farà riferimento l'artefice della Statua della Libertà F. Aguste Bartholdi (fig.17) nel diciannovesimo secolo.

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fig.17

Da monete risalenti all'età ellenistica ricaviamo il dato che l’Helios indossava una corona che simboleggiava i raggi del sole. Per quanto riguarda l'ubicazione la statua era sita tra le due sponde del porto piccolo dove ora sorge il forte di S.Nicola (fig.18): la notizia ce l'ha fornita un viaggiatore italiano che nel XIV secolo aveva visitato l'isola e aveva narrato le leggende del posto. 

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fig.18

Un'altra ipotesi sostiene che la statua si trovava in prossimità del tempio dedicato a Helios nel settore occidentale della città bassa vicino l’Acropoli. Questa meraviglia era così celebre da aver ispirato numerose sculture, risalenti all’ epoca successiva, alcune arrivate fino in Gallia. Un esempio è la testa fittile custodita presso il museo di Rodi, contemporanea al colosso, su cui sono stati trovati dei fori che indicano la presenza di una corona radiata. Ricordiamo ancora un'altra scultura a grandezza naturale in marmo paro, commissionata in età adrianea da un nobile romano, rinvenuta a Santa Marinella e custodita presso il Museo di Civitavecchia. Essa riproduce probabilmente le fattezze di un Apollo Helios (fig.19), dall'aspetto di un giovane nudo con una faretra a tracolla, una fiaccola nella mano destra e l'arco su cui si poggia la mano sinistra.

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fig.19

Il colosso di Rodi sorgeva maestoso sul porto e accoglieva tutti quelli che vi approdavano. Probabilmente al suo interno c'erano delle intelaiature di ferro e blocchi di pietra uniti da grappe e sbarre trasversali per conferire stabilità alla struttura. L'ultima notizia che ci è stata tramandata risale al VII secolo dopo Cristo quando gli arabi si sono appropriati dei pezzi della statua e li hanno rivenduti ad un mercante ebreo che li ha trasportati su 900 cammelli.

Il faro di Alessandria (fig.20)

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fig.20

Si tratta dell'ultima meraviglia in ordine cronologico. Si ergeva sull'isola di fronte ad Alessandria ed era collegata alla terraferma attraverso una diga. Oggi al suo posto sorge il forte mamelucco di Fort Qaitbay. La città di Alessandria fu fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C. durante il suo viaggio alla conquista della Persia. Ha una pianta cosiddetta ippodamea (vedi lezione Dall'età alessandrina all'ellenismo). La costruzione del faro probabilmente è stata voluta da Tolomeo I Soter (305-283 a.C.) ma fu realizzata dal figlio Tolomeo II Filadelfo nel 283 a.C. circa. Le iscrizioni riportano il nome di Sostrato di Cnido, colui che probabilmente finanziò l'opera costata 800 talenti. Abbiamo riproduzioni sulle monete imperiali di Domiziano (81- 96 d.C.) che ci mostrano un edificio a due piani con sopra una torre conica con in cima una statua. Ci sono però rappresentazioni successive con una struttura alta tre piani. Il faro di Alessandria ha goduto di una notevole fortuna iconografica perché è stato rappresentato su sarcofagi, mosaici, ecc.  ed é stato fonte di ispirazione, ad esempio, per il mosaico del piazzale delle corporazioni ad Ostia nella figura del faro fiancheggiato da due imbarcazioni a vela (fig.21)

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fig.21

Ricordiamo ancora il mosaico a San Marco a Venezia (XIII secolo d.C.) che raffigura l'arrivo di San Marco ad Alessandria . Qui il nostro monumento appare trasformato in una moschea nella parte alta (cosa avvenuta nel IX secolo d.C.) La poesia di epoca alessandrina nella figura di Posidippo di Pella (III secolo secolo a.C.)  ricorda come i marinai, scorgendolo da lontano, intravedessero Zeus (questo ci fa ipotizzare che la statua in cima alla costruzione rappresentasse Zeus Salvatore). Nella descrizione di un viaggiatore arabo risalente al XII secolo dopo Cristo , il faro è alto circa oltre 100 m (la seconda meraviglia più alta dopo la grande piramide di Giza), ha un primo piano di forma troncoconica alto 57 m, un secondo ottagonale di 30 m e il terzo cilindrico di 7 m. Indagini subacquee effettuate nelle vicinanze hanno scoperto sui fondali marini la presenza di una statua di Iside in granito rosa di Assuan alta oltre 7 m. Tutto ciò ci riporta alle raffigurazioni di alcuni coni risalenti al periodo compreso tra il regno di Adriano e quello di Marco Aurelio (117- 180 d.C.) che riportano accanto al faro una figura femminile che tiene una vela gonfia: si tratta di Iside Pharia protettrice dei naviganti, molto venerata nell 'isola. Fra i reperti rinvenuti ci sono anche sfingi, frammenti di statue, di obelischi, colonne, iscrizioni e resti di statue colossali che probabilmente riproducevano coppie regali con le sembianze di sovrani tolemaici e di Iside. Il faro probabilmente è crollato a causa di un terremoto nel 1303 , l'ultimo di una serie che non ha destabilizzato la struttura.

 

 

Mappa sette meraviglie

Per terminare la trattazione ecco una cartina con sopra ubicate le sette meraviglie (fig.22)

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fig.22

Bibliografia

  • D.Barbagli Le sette meraviglie del mondo antico Giunti Editore, 2003

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