Antica Grecia-Alimentazione e sport

Antica Grecia-Alimentazione e sport

L'alimentazione all'epoca dell'antica Grecia

I Greci apprezzavano particolarmente la carne di capra, pecora, pollame. I cinghiali e gli orsi erano catturati con trappole, reti e richiami. Il maiale era l'animale sacro a Demetra: il sacrificio di porcellini in suo onore richiama la leggenda di un certo Eubolo, i cui i maiali erano precipitati in una voragine apertasi sotto le loro zampe nel momento in cui Persefone, figlia della dea delle messi, era stata rapita da Ade. La carne arrostita era il cibo dei guerrieri perché considerata simbolo di virilità. Si pescavano tonni, murene, anguille, squali, acciughe, aragoste, gamberi, molluschi, le triglie (sacre ad Ecate, la dea dell'oltretomba). Il pane si consumava prevalentemente non lievitato ed era prodotto con diversi tipi di farina: semola, farina integrale, fior di farina. Era cotto nei forni di terracotta o di bronzo utilizzati anche per tenerlo al caldo. Tra le varie specialità ricordiamo: la làgana (pizzetta), l' hòmoros (pane di farina di grano duro vagliata), lo staitìtes (pane non lievitato con farina di frumento e focaccia con sopra miele, sesamo e formaggio), il tyròs (pane o focaccia al formaggio). Tra i legumi ricordiamo: fave, lupini lessi (i lupini erano sacri alla dea Ecate e venivano mangiati nei giorni di digiuno), ceci tostati (sgranocchiati al teatro, a passeggio, durante i banchetti per rendere più gradito il vino), zuppe di lenticchie e fagioli (provenienti dall'Africa). Le coltivazioni degli ulivi erano protette dalla legge: c'erano multe molto severe per chi ad Atene li estirpava, era permesso farlo solo per motivi religiosi. Gli ortaggi più apprezzati erano: lattughe, cavoli, cipolle, porri, sedano, bietole, broccoli, finocchi, radicchio, rape, rucola. Le olive si consumavano a colazione, durante gli spuntini o all'inizio della cena. Durante il simposio (la parte finale del banchetto destinato alle bevute) si mangiavano olive, capperi focaccine, ceci, lupini, semi di zucca. Tra i frutti ricordiamo i fichi, le mele (da Melo , mitico eroe di Delo innamorato di Adone: quando quest'ultimo muore, si suicida impiccandosi ad un albero che prese il suo nome), melagrane, pere, pesche, datteri, albicocche ( dall'Armenia), frutta secca, corbezzoli. Gli agrumi erano rari perché ritenuti di gran lusso: forse i frutti del giardino delle Esperidi sono da identificare con i cedri . Ancora, la leggenda racconta che Dioniso amava una fanciulla di nome Caria, da lui trasformata in albero di noce. Il padre decise di erigere un tempio in suo ricordo con colonne scolpite proprio in legno di noce a forma di ninfe che da quel momento in poi presero il nome di Cariatidi . Le castagne arrivavano dall'Asia minore, venivano conservate in orci di ceramica e immerse nel miele selvatico per conferire al frutto un sapore più dolce. L'aglio era un alimento molto consumato dagli atleti che partecipavano alle Olimpiadi perché si riteneva che potenziasse le loro prestazioni. Dei funghi, invece, si apprezzavano le proprietà terapeutiche (soprattutto di quelli porcini). Le pesche erano conosciute come mele persiane perché arrivavano dall'attuale Iran; anche il ciliegio e il susino giungevano dall'Oriente così come i limoni noti col nome di frutti di Persia: erano consigliati per produrre profumi, come repellenti per insetti e antidoto per i veleni. Per quanto riguarda le erbe aromatiche i Greci non mangiavano il prezzemolo perché lo consideravano simbolo di morte (ecco perché fungeva da decorazione di pietre tombali). Alla menta era associato il mito di Myntha , una ninfa dei fiumi trasformata in pianta dalla dea Persefone quando scoprì che era l'amante del marito Ade. Quest'ultimo, addolorato per la sua perdita, le infonde un aroma meraviglioso. La parola timo deriva dal greco thumos (fumo) forse perché i suoi rametti erano bruciati durante le cerimonie religiose: la pianta era sacra a Adephagia , la dea dei golosi. Secondo il mito l'origano era stato creato da Afrodite: i Greci ne masticavano le foglie come antidoto al mal di mare e le giovani sposine ne indossavano le corone come simbolo di buon augurio. Ricordiamo inoltre che erano molto apprezzate le carni di pecore e capre che avevano brucato l'erba di origano. L'aneto era utilizzato in cucina, ma anche come rimedio per far passare il singhiozzo. Una curiosità: si preparavano pagnotte di pane al cumino per i soldati che dovevano partire per la guerra. L'Attica era la regione greca più ricca di olivi mentre nella Magna Grecia famose erano Sibari e Taranto. Le olive erano raccolte ancora acerbe una ad una o facendole cadere dall'albero utilizzando lunghi bastoni. L'olio era utilizzato in cucina, ma anche per detergere i corpi degli atleti prima di iniziare le attività agonistiche. Per quanto riguarda i dolci famosissima era la pasticceria di Samo: all'epoca degli antichi Greci ricordiamo come si utilizzasse il miele perché lo zucchero non era ancora conosciuto. Venivano offerti i agli dèi pasticcini di forma diversa: ad esempio quelli dedicati ad Apollo ricordavano lo strumento musicale della lira, quelli in onore di Artemide la mezzaluna. Il latte più bevuto era quello di capra consumato appena munto oppure cagliato o trasformato in formaggio (quello più richiesto era prodotto in Acaia). Una curiosità: la sacerdotessa consacrata ad Atena Poliade non poteva assolutamente mangiare formaggi freschi di produzione locale, ma solo quelli provenienti da luoghi stranieri. Le vivande erano insaporite con il silphion , un condimento dal forte sapore di aglio ricavato da una pianta che cresceva nelle campagne di Cirene. Le uova erano prodotte dal pollaio della casa e spettava alle donne prendersene cura così come loro compito era quello di attingere l'acqua dalle fontane. Le donne erano anche molto pratiche nel riconoscere e sfruttare le proprietà delle erbe (vedi, ad esempio, Circe nella Lezione l'Odissea o Medea nella Lezione La donna. Il teatro) . Tra le bevande ricordiamo l'idromele (miele unito all'acqua bollita e lasciato fermentare al sole per diversi giorni) e il vino d'orzo. I Greci consumavano tre pasti al giorno: a colazione mangiavano olive e focaccine intinte nel vino, a pranzo uno spuntino leggero mentre durante la sera sedevano a tavola per il pasto principale consumato in famiglia o in compagnia di ospiti.   

I banchetti

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fig.01

Nell'antica Grecia i commensali indossavano una corona di fiori intrecciati perché si pensava che attenuasse i sintomi dell'ubriachezza durante il simposio (la seconda parte del banchetto dedicata alle libagioni) e, allo stesso tempo, invitasse ad un'appassionata eccitazione. La corona, inoltre, impegnava l'invitato a seguire le buone maniere a tavola. Ci si profumava all'inizio del banchetto e dopo il pasto prima del simposio.  Le pagnotte erano accatastate e gli assaggi erano serviti nei piatti. Si riutilizzavano gli stessi tavoli dopo averli puliti con una spugna o ne venivano portati altri in aggiunta (essi erano leggeri e, dunque, assai facili da spostare). Una sala poteva accogliere dai 7 ai 15 klinai e in ciascuno potevano accomodarsi anche due commensali. Gli dèi che partecipavano ad un banchetto erano raffigurati seduti e non sdraiati, così come avveniva nei poemi omerici. La consuetudine di mangiare sdraiati sulla klìne (fig.02) forse ha avuto inizio solo a partire dal VII secolo a.C.: ci si appoggiava sul gomito sinistro e ciascuno aveva a disposizione un tavolino più basso su cui c’erano coppe di vino ed erano state apparecchiate vivande rigorosamente solide e tagliate a pezzi (ad esempio fette di carne cotta sfilate dagli spiedi) perché dovevano essere consumate con una mano sola. 

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fig.02

I Greci si pulivano le mani su pezzi di pane che davano poi da mangiare ai cani “da tavola”. Il padrone di casa, o uno schiavo, aveva il compito di spiegare ai commensali la preparazione dei piatti, la loro provenienza, l'invecchiamento dei vini offerti. Durante i banchetti in cui gli invitati avevano una certa importanza, il boccone migliore (géras) per tenerezza, sapore e dimensioni era un dono speciale offerto a chi meritava un alto onore. Vasi pregiati di bronzo erano messi a disposizione dei convitati come contenitori di vomito e di urina. Qualche volta ad Atene gli invitati si portavano da mangiare pietanze già pronte o da cucinare a casa dell'ospite. Una volta terminato il pasto, si sgombrava la tavola dagli avanzi e aveva inizio il simposio, durante il quale servivano gli schiavi più giovani e più belli. Spesso durante i banchetti era protagonista la danza. Molto importante era il ruolo del màgeiros (fig.03), il cuoco con funzioni anche di macellaio: lo stesso termine indicava anche chi aveva il compito di offrire la carne degli animali sacrificati alle divinità. 

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fig.03

In questo caso il magéiros apriva il torace a metà per estrarne i polmoni, il fegato, la milza, i reni. Stomaco e intestino sarebbero serviti a fare le salsicce mentre il fegato era utilizzato per i vaticini. Le cosce erano coperte di grasso e bruciate sul fuoco per rendere onore agli dèi. I sacerdoti cuocevano i visceri sul fuoco per poi mangiarli; la parte meno pregiata era consumata dal popolo.

I primi cuochi della storia e i ghiottoni più famosi

Tra i cuochi menzionati nelle fonti greche ricordiamo Dorione, il quale aveva scritto un trattatello sui pesci ora perduto. C'è poi Archestrato di Gela , poeta siciliano del IV sec.aC, autore del poema Gastronomia in cui di ogni prodotto si indica la provenienza, la stagione propizia per consumarlo e si forniscono ricette. Tra i ghiottoni più famosi ricordiamo un certo Ptillo , appassionato di cibi bollenti: la sua lingua era coperta da uno strato calloso che rivestiva con una guaina artificiale. Ercole aveva la fama di ghiottone: gli piaceva mangiare a sbafo. Nella commedia “ Le rane ” di Aristofane si racconta che quando Persefone viene a sapere che il celebre eroe stava andando a farle visita nell'Ade (in realtà si trattava del protagonista travestito), mette subito in forno il pane, cuoce due o tre pentoloni con passato di legumi e in più fa arrostire un bue intero e dà ordine di preparare torte e focaccine. Per concludere il discorso sul cibo e la letteratura non si può non fare riferimento all'antenato del paese della cuccagna collocato negli Inferi: vi scorrono fiumi di polenta e brodetto nero con bocconi di pane già preparato e pezzi di galletta. Anche Teleclide negli Anfizioni descrive questo mondo meraviglioso dove i pesci si cuociono da soli, i tordi arrostiti balzano direttamente in gola e fiumi di semola di farro scorrono tra le vie mentre taglieri con prosciutti interi erano a disposizione di tutti…Un'ultima curiosità gastronomica: pare che a Sibari esistesse una sorta di proprietà del copyright che tutelava gli inventori di ricette per un anno. 

Utensili in cucina

La maggior parte del pentolame utilizzato era prodotto in terracotta: ciò comportava il rischio di bruciare sul fuoco, motivo per cui in seguito venne fabbricato in bronzo. Ricordiamo la olla (fig.04) (dalla forma panciuta, che si poggiava direttamente sul fuoco o si appendeva ad un gancio sopra la fiamma); per friggere si usava una padella dall'orlo più basso che si portava direttamente a tavola. 

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fig.04

Per tagliare la carne si usavano i coltelli, per mescolare le zuppe i cucchiai. Ricordiamo ancora l'utilizzo di imbuti, colini, grattugie. Le anfore (fig.05) servivano a contenere derrate alimentari quali vino, farina e olio. Per attingere l'acqua dalla fontana c’erano le idrìe (fig.06) di terracotta. 

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fig.05

 

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fig.06

Per versare il vino si usavano le brocche, tra cui il guttus (goccia a goccia per le tipologie più pregiate) mentre nei crateri (fig.07) si mescolava con l’acqua. C'erano poi i kàntharoi (fig.08) (coppe più o meno ampie), gli skyphoi (coppe da bere con due anse) (fig.09) e i rhythà (fig.10) (vasi figurati per le libagioni). I pezzi più pregiati erano di argilla finissima e decorati da scene mitologiche. I piatti fondi e larghi riportavano illustrazioni ispirate ai cibi in essi contenuti (fig.11)

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fig.07
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fig.08
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fig.09
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fig.10
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fig.11

Gli antichi Greci (pensate!) utilizzavano anche un recipiente termico per il vino chiamato psyktèr (fig.12), la cui parete aveva un'intercapedine in cui si versava acqua fresca per mantenerlo fresco. 

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fig.12

Per cuocere la carne bollita si utilizzava il lebete (fig.13) sorretto da un tripode (fi.14)Per cuocere l’arrosto c'erano lunghi spiedi di ferro con alari (elementi di sostegno laterali), pinze, attizzatoi e grandi forchettoni (kregrai).

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fig.13
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fig.14

Il cibo degli dèi

Il cibo preferito degli dèi era l’ambrosia, spesso in forma solida: un esempio é descritto nel canto V dell’ Odissea quando Calipso allestisce una tavola ricca di questa bevanda e mescola il rosso nettare per accogliere il dio Hermes. Le divinità apprezzavano molto il fumo che esalava dalle carni arrostite degli animali sacrificati.

Storia del vino nell’antica Grecia e del dio Dioniso

Nell'antichità vino, miele, olio e latte erano simboli dell'opulenza della natura. Vi starete sicuramente domandando da dove deriva il prefisso eno che caratterizza tutto ciò che ha a che fare col vino (basti pensare alle parole enologia, enoteca, etc.). Ebbene, secondo un'antica leggenda, un pastore stava inseguendo un montone allontanatosi dal gregge e lo sorprende a brucare una pianta sconosciuta. L'animale mostra un comportamento euforico; incuriosito da tutto ciò, il pastore decide di spremere il succo della pianta e di allungarlo con l'acqua del fiume Acheloo. Dopo aver assaggiato la bevanda si sente rinvigorito e decide di offrirla al suo re, Eneo di Calidone, il quale si approprierà della scoperta: ecco allora da dove deriva il prefisso eno. Nell'antica Grecia il vino fa riferimento al colore rosso: Dioniso (fig.15) indossava un mantello rosso, aveva una chioma rossa (a volte azzurra) e un viso rubicondo. 

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fig.15

Nato dall'unione tra Zeus e Semele, questa divinità é resuscitata più volte (molti studiosi ritengono infatti che precorra la figura di Cristo). Si racconta come Era, la sposa di Zeus, travestita da nutrice, abbia consigliato all'amante di Zeus di chiedere al dio di rivelarsi in tutto il suo splendore. Così, durante un incontro amoroso, la fanciulla venne incenerita da un fulmine. Zeus, tuttavia, riuscì a mettere in salvo Dioniso cucendolo all'interno della sua coscia da cui sarebbe stato nuovamente partorito. Per salvarlo da Era, Zeus lo trasformò in un capretto e lo affidò alle ninfe. Ma non è finita qui: i Titani riuscirono a scovarlo, lo catturarono e lo fecero a pezzi per poi bollirlo in un calderone; Atena riuscirà a salvarne il cuore per poi seppellirlo e permettere così ad Apollo di far risuscitare il dio. Non contenta di tutto ciò, Era continuò a perseguitare Dioniso portandolo alla follia e facendolo errare dall'Egitto alla Siria. Dopo aver riacquistato il senno grazie alla dea Demetra, egli si trasferirà in India: è proprio ad Oriente, infatti, che nasce e si diffonde il culto a lui dedicato. Il dio viaggerà per il mondo su un carro, accompagnato da satiri (fig.16) (esseri metà uomini e metà capri), musici e menadi (o baccanti) (fig.17)

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fig.16
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fig.17

Queste ultime donne erano vestite con pelli di cerbiatto e con il corpo inghirlandato di edera che, grazie ai loro tirsi, riescono a far zampillare dalle rocce vino e acqua. Durante le cerimonie in onore di Dioniso esse agivano come invasate: danzavano e cantavano a ritmi forsennati, squarciavano animali per divorarne la carne cruda: probabilmente questi riti, raccontati dal tragediografo Euripide nelle Baccanti, erano realmente praticati dalle donne in luoghi marginali. Simbolo di Dioniso sono i grappoli di uva, il tirso (fig.18)  (bastone con sopra pampini e pigne avviluppati da un'edera), la corona di edera e la pigna simboli di immortalità. 

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fig.18

Si dice, inoltre, che l' edera fosse un ingrediente fondamentale per la preparazione di un decotto per smaltire i sintomi della sbornia. Le ghirlande di edera sono simbolo di fama imperitura: lo stesso Alessandro Magno di ritorno dall'india se ne cinse il capo. Durante le pubbliche ricorrenze, il vino serviva a spegnere le braci o ad aspergere il corpo della vittima destinata al sacrificio. Chi eseguiva il rito doveva essere puro interiormente e pulito igienicamente. Il vino era allungato con acqua in un rapporto di uno a tre ed era aromatizzato con miele, mirra, timo o acqua di mare che conferiva alla miscela un sapore di violetta. Era reso dolcissimo perché in origine, essendo chiuso in anfore sigillate con la resina, aveva un sapore aspro. L'alta gradazione dipendeva dal fatto che la vendemmia avveniva assai tardi. I vini più apprezzati, stando alla fonte dell'Iliade, erano: quello di Pramno (prodotto dall'isola di Icaria), quello della Tracia (custodito gelosamente da Agamennone nella sua tenda), quello di Lesbo e di Chio. Tuttavia, il vino più buono era quello che si produceva nella Magna Grecia e in Sicilia. La polis calabrese di Cirò lo convogliava, attraverso un enodotto di tubi di terracotta, dai depositi al porto. Altri importanti vini italiani erano il lucano Aglianico, l'Aleatico di Puglia, l'avellinese Greco di Tufo (citato da un amante pompeiano come strumento di seduzione). 

Il simposio

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fig.19

Il simposio era la seconda parte del banchetto dedicata agli dèi.  Si iniziava con il lavarsi le mani, in segno di purificazione, con acqua profumata da petali di rose o di viole per poi proseguire con la libagione, offerta sacrificale in cui si versava il vino puro per terra consacrandolo agli dèi. Seguiva poi il brindisi e la bevuta a turno di un sorso di vino puro da una grande kylix versando anche gocce per terra. Successivamente, dopo essersi incoronati con serti di edera, rosa, mirto ecc., si sorteggiava il simposiarca, ovvero il cerimoniere, che decideva le regole del banchetto (stabilisce la proporzione tra acqua e vino, l'intervallo tra una bevuta e l'altra, il tema della conversazione). Il vino era mescolato con acqua nel cratere (d'inverno vi si aggiungevano le spezie, d'estate la frutta e le erbe profumate), si versava in una caraffa con beccuccio e successivamente nelle singole coppe a due manici (kýlikes) (fig.20) o negli skyphoi

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fig.20

La coppa si faceva girare da sinistra a destra, secondo l'ordine stabilito da Zeus. La sala ove avvenivano i simposi aveva i klinai, letti conviviali disposti lungo i muri: il primo a destra dell'ingresso era riservato al padrone di casa o all'ospite più importante. Al centro era collocato il cratere col vino in cui si identificava la presenza di Dioniso: era come se bevendo si assimilasse parte del dio. Nei bruciaprofumi si accendevano incensi e fragranze. Ai simposi erano ammessi solo maschi e, delle donne, solo le etere (prostitute) (vedi lezione Antica Grecia Le donne. Il teatro) che intrattenevano gli ospiti con la musica e il canto. Il principale compito dei ragazzi era quello di mescere il vino agli ospiti sdraiati sui klinai, dopodiché si sedevano accanto a loro: solo una volta divenuti adulti avrebbero goduto anche loro di questo privilegio. La bevuta era accompagnata da frutta secca, uva passa, dolcetti fritti con sesamo e frumento e sfogliatelle di formaggio fuso ripassati nel miele caldo. Durante il simposio avvenivano gare di indovinelli o di musica e contese letterarie; inoltre, si commissionavano a poeti famosi quali Alceo (vedi sitografia) e Saffo (vedi lezione Antica Grecia Le donne. Il teatro), componimenti da recitare in queste occasioni. Se il simposioasta non era in grado di risolvere un indovinello, era preso in giro dagli altri e, per penitenza, doveva bere un'intera kylix di vino mescolato ad acqua salata o correre nudo portando sulle spalle una delle suonatrici professioniste pagate per l'occasione. Uno dei divertimenti favoriti era il kottabos (fig.21): esso consisteva nello scagliare il sorso di vino che rimaneva nella kylix verso una coppa retta da un altro convitato. Esistevano però varianti ancora più difficili come, ad esempio, schizzare il vino in direzione di piccoli bersagli galleggianti in una coppa o contro un disco metallico in bilico che, quando era colpito, cadeva facendo un gran chiasso. Una volta terminato il simposio i partecipanti si riversavano in strada suonando serenate d’amore accompagnandosi a strumenti musicali (tra i quali i crotali, le nacchere) o partecipavano ad altri simposi.

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fig.21

L’invito alla moderazione

Il famoso legislatore spartano Licurgo (vedi lezione Antica grecia Un po’ di storia…) aveva stabilito che nel corso dei pasti in comune, cui partecipavano gli aristocratici, dovevano essere esibiti degli schiavi prima costretti a bere vino puro cosicché, ubriachi, si abbandonassero a canti e danze scandalose: in questo modo sarebbero stati da monito a chi aveva intenzione di ubriacarsi. Sempre allo stesso scopo, raffigurazioni vascolari mostrano partecipanti a simposi che non si reggono in piedi o vomitano per avere bevuto troppo. Il celebre legislatore Solone (vedi lezione Antica Grecia Un po’ di storia…) aveva previsto la pena di morte per il magistrato scoperto ubriaco nell'esercizio delle sue funzioni. Platone (vedi sitografia) nelle sue Leggi proibisce di bere a chi ha meno di 18 anni, ma lo concede con moderazione ai ventenni. Infine, un’ultima annotazione: in una commedia di Eubulo, Dioniso recita la seguente raccomandazione:” Tre coppe di vino, non di più, stabilisco per i bevitori assennati. La prima per la salute di chi beve; la seconda risveglia l’amore e il piacere; la terza invita al sonno. Bevuta questa, chi vuol essere saggio se ne torna a casa. La quarta coppa non è più nostra, è fuori misura; la quinta urla; la sesta significa ormai schiamazzi; la settima occhi pesti; all’ottava arriva lo sbirro; alla nona sale la bile; alla decima si è perso il senno, si cade a terra privi di sensi. Il vino versato troppo spesso in una piccola tazza, taglia le gambe al bevitore”. 

Le feste in onore di Dioniso

Tra febbraio e marzo avvenivano le Antesterie (fig.22), feste dedicate al dio Dioniso e ai fiori, della durata di tre giorni. I partecipanti, dopo aver indossato ghirlande e corone intrecciate, aprivano le botti di terracotta nelle quali avevano messo a fermentare l'uva pigiata l'autunno precedente. Durante il giorno le botti venivano portate in un santuario antichissimo per esservi aperte al tramonto, dopodiché si faceva una preghiera al dio in modo tale che si dimostrasse prolifico del dono del vino. Venivano poi distribuite brocche contenenti la bevanda da portare a casa. Alle cerimonie erano ammessi anche gli schiavi e i bambini di almeno tre anni: assaggiare il primo sorso di vino nella caraffa era una sorta di rito di iniziazione. Nelle tombe dei bambini morti prima dei tre anni, infatti, i genitori mettevano minuscole brocche come auspicio che nell'aldilà potessero finalmente raggiungere questo traguardo impedito dalla morte prematura. Il secondo giorno, al segnale di un araldo, bisognava isolarsi dalle altre persone che dimoravano nella casa e bere il vino ricevuto al tempio nel silenzio più assoluto. Colui che riusciva a svuotare per primo la brocca otteneva come premio simbolico un otre di pelle o una piccola torta. All'alba di quel giorno tutte le porte erano segnate dalla pece (come se si volesse renderle impermeabili dall'esterno) e tutti dovevano masticare foglie di ramno perché così facendo i partecipanti al rito sarebbero stati protetti dal male. 

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fig.22

Durante queste feste si credeva che Dioniso aprisse la terra al germogliare dei fiori e dei frutti, ma c'era il pericolo che dal sottosuolo emergessero anche gli spiriti dei defunti attratti dal profumo del vino (vedi lezione Odissea incontro tra Ulisse e le anime dei morti nell'Ade) . Una volta bevuto il vino, i partecipanti facevano ritorno al tempio ove avevano aperto le botti e vi depositavano le brocche vuote. Nel frattempo, su un carro a forma di nave, giungeva un uomo vestito da Dioniso circondato da un corteo di satiri. Egli era ricevuto da 14 donne scelte come sue sacerdotesse, tra le quali c'era la  basilissa, la moglie dell'arconte re. La donna era condotta in processione fino alla sua residenza e qui si congiungeva carnalmente a Dioniso: questa unione avrebbe garantito alla comunità abbondanza di vino per tutto l'anno. L'ultimo giorno si mettevano a bollire semi di vario tipo destinati a zuppe o si mischiavano al miele per poi impastare focacce: questo cibo era offerto a Ermes, il dio che faceva da tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Dopo essere stati rimpinzati di focacce, gli spiriti erano invitati ad andarsene. Come avrete sicuramente constatato le Antesterie possono essere considerate le antenate della festa di Halloween! Ma c'erano altre feste dedicare al dio del vino: tra marzo e aprile avvenivano le Grandi Dionisie, in cui i cittadini in processione offrivano otri di pelle carichi di vino mentre una giovane fanciulla portava una cesta colma di uova e frutta: dopo aver raggiunto il tempio, si dava il via alle bevute con cori e danze. C'erano poi le Dionisie rurali tra dicembre gennaio e le Lenee tra gennaio e febbraio.

Il ciceone

Al di là dell'idromele e del vino c’era un'altra bevanda diffusa nell'Attica: si tratta del ciceone, un infuso di menta, acqua, farina di orzo con proprietà rilassanti. La bevanda ricorda quella richiesta da Demetra quando, durante il suo viaggio alla ricerca della figlia Persefone rapita da Ade (vedi lezione Antica Grecia Il mito e la religione), viene ospitata a Eleusi presso la corte del re Celeo. Una mistura molto simile (vino, formaggio, miele, farina di orzo) é offerta dalla maga Circe ai compagni di Ulisse per inibire la loro capacità di reazione e poterli trasformare in porci.

Lo sport

Lo sport ha le sue origini nell’ antica Grecia, in particolare nasce dalle competizioni sportive in onore del defunto (ne sono un esempio i funerali di Patroclo narrati nell'Iliade) e dalle esercitazioni militari preparatorie. La società greca considerava le manifestazioni sportive un modo per unire le diverse polèis sempre in lotta tra loro perché, per disputarle, si stabiliva una tregua. I premi consistevano in corone, bende, rami di palma, tutti simboli che si utilizzavano in guerra per decorare i vittoriosi (fig.23)

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fig.23

In particolare, sappiamo che i vincitori delle Pitiche di Delfi ricevevano corone di alloro, quelli delle Istmiche di Corinto una corona di pino e quelli delle Panatenaiche una grande anfora di olio. Nel corso del tempo si passa man mano da una concezione arcaica della vittoria dell'individuo in quanto favorito dagli dèi, ad una concezione classica che riconosceva nel vincitore l'espressione del valore individuale. I giovani ateniesi iniziavano a esercitare lo sport sotto la direzione del pedòtribo il cui compito era correggere i ragazzi indisciplinati e separare i lottatori con l'aiuto di un bastone forcuto (fig.24)

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fig.24

 

A 12 anni la ginnastica si esercitava in palestra su un terreno a cielo aperto, di forma quadrata, circondato da mura. Esso era dotato di spogliatoi, sale di riposo e di busti del dio Ermes. Per la corsa si correva negli stadi, piste in terra battuta. A Delphi sono ancora visibili le soglie della partenza in pietra con sopra incisi gli incavi per gli avvallamenti delle dita (fig.25)

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fig.25

Il termine ginnastica deriva da ginos, nudo, perché gli atleti gareggiavano privi di indumenti: a detta delle cronache i primi a farlo sono stati i Lacedemoni. Gli accessori fondamentali dell’atleta erano: la spugna per le abluzioni, l'alabastro (flacone contenente l'olio), lo strigile (fig.26) (una specie di spatola che serviva per raschiare via lo strato di olio e di polvere misto a sudore dalla pelle). Prima di iniziare l'allenamento si era soliti fare il bagno in una fontana per poi ungere il corpo di olio e spargersi addosso la sabbia.

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fig.26

 I principali giochi sportivi erano:

- i giochi pitici. Si svolgevano ogni quattro anni nel mese di agosto in onore di Apollo Pizio. La “location” era Delfi, ai piedi del Monte Parnaso. Pitico deriva dal nome del serpente sacro Pitone ucciso da Apollo. Le gare prevedevano anche competizioni musicali con la cetra;

 -i giochi istmici. Si svolgevano ogni due anni tra aprile e maggio sull’istmo di Corinto ed erano in onore di Poseidone. Prevedevano gare atletiche, equestri, musicali;

-i giochi nemei. Forse ispirati al mito di Ercole vittorioso sul leone di Nemea, avvenivano ogni due anni. Erano dedicati a Zeus e si svolgevano nella valletta del torrente Nemea;

-le Panatenee, feste in onore di Atena durante le quali il sesto giorno avveniva la corsa notturna con le fiaccole. Sei atleti partivano dall'altare di Pan o di Prometeo, siti nell’Accademia, per arrivare di corsa a quello di Atena sull'Acropoli e accendervi il fuoco;

-i giochi olimpici. I più importanti in assoluto, erano celebrati ogni quattro anni a Olimpia sempre in onore di Zeus. I primi giochi olimpici hanno avuto luogo nel 776 a.C. e i Greci contavano gli anni proprio a partire da questa data. Quali sono le fonti di informazione di cui disponiamo sull’argomento? Gli studiosi fanno riferimento ai canti di vittoria scritti da Pindaro (vedi sitografia) per onorare i trionfatori delle gare di Olimpia, Delfi, Corinto, Nemea. I giochi olimpici duravano ben 7 giorni: nel primo si celebravano riti in favore degli dèi e si svolgeva una processione in onore di Zeus. Il secondo giorno era dedicato alle gare di ragazzi, durante i successivi c'erano le gare ippiche, il pentathlon (lotta, corsa, salto in lungo, lancio del disco e lancio del giavellotto),  le gare di corsa nello stadio, la corsa con le armi e il settimo e ultimo giorno avveniva una solenne processione accompagnata da un banchetto. Le corse con le quadrighe (fig.27) sono state introdotte ad Olimpia nel 680 a.C.: l'origine della gara si rifà al mito di Pelope, il quale sconfigge in questa competizione Mirtilo, l’auriga del re Enomao, padre di Ippodàmia, che aveva promesso di dare in sposa la figlia a chi fosse riuscito a batterlo (vedi lezione Antica Grecia Il mito e la religione).

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fig.27

Nella lotta (fig.28) gli atleti si affrontavano a testa bassa con le braccia tese in avanti: lo scopo era quello di far cadere l'avversario restando in piedi. La corsa di velocità (fig.29) si disputava sulla distanza di uno stadio (circa 180 m), doppio stadio o quadruplo stadio. 

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fig.28
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fig.29

Per il lancio del disco (fig.30) l’atleta cospargeva quest'ultimo di sabbia per non farlo scivolare fra le dita. Veniva effettuato da una pedana: si sollevava il disco con la mano destra ondeggiando sulle gambe, l’atleta poi ruotava verso destra col braccio teso per poi piegarsi e lanciare il disco. 

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fig.30

Il giavellotto (fig.31), nato come arma da caccia, era dotato di una cordicella di cuoio, annodata al centro del bastone, che serviva ad imprimere il moto rotatorio e la direzione. . Nel pancrazio (fig.32) (misto di lotta e pugilato) il combattimento terminava solo quando uno dei due lottatori giaceva esausto per terra e dichiarava la resa: siccome a Sparta uno spartiate non doveva mai dichiararsi sconfitto, quest’ attività sportiva non era ammessa. 

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fig.31
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fig.32

Stranamente tra le competizioni olimpiche non era previsto il nuoto, pur essendo i Greci un popolo di marinai (infatti, esisteva il detto: “l’idiota è colui che non sa né leggere, né nuotare”): ciò probabilmente é dovuto al fatto che le gare erano un retaggio delle primitive popolazioni greche provenienti dal nord che non frequentavano spesso il mare. I nomi dei vincitori erano proclamati da un araldo, insieme a quello del loro padre e della loro patria. Erano cinti con una corona di ulivo e da quel momento la loro fama sarebbe stata imperitura. Avevano diritto a primi posti gratuiti a sedere durante gli spettacoli e in loro onore, al rientro in patria, veniva organizzata una processione trionfale. Gli atleti vincitori facevano ricche offerte ai santuari per ringraziare le divinità protettrici della vittoria; a volte era la città stessa, patria dell'eroe, a farsi carico di questi doni. Alle prime Olimpiadi hanno partecipato anche membri dell'aristocrazia. Dopo la metà del V secolo avanti Cristo quella dell'atleta diventa una vera e propria professione con lauti guadagni: il vincitore simboleggiava il perfetto uomo greco ed era assimilato ad Ercole; gli spettatori erano portati a identificarsi con gli atleti. Ad Olimpia chi imbrogliava o si faceva corrompere e veniva scoperto, era soggetto a pesanti multe destinate alla realizzazione di statue bronzee che raffiguravano Zeus collocate, in posizione allineata, lungo il portico che conduceva allo stadio. Esse erano corredate da scritte che ricordavano il nome dei disonesti insieme a quello del loro allenatore: da quel momento in poi la comunità li avrebbe considerati dei disgraziati. Schiavi e barbari potevano assistere alle feste olimpiche ma non le donne . I ginnasi erano spazi aperti con parchi, fontane, giardini e una palestra. Il direttore era chiamato ginnasiarco: il suo compito era quello di provvedere al corretto funzionamento delle strutture, alla fornitura del materiale e sovrintendere al percorso educativo dei frequentatori, sancire punizioni corporali e multe a chi commetteva infrazioni. La città di Berea in Macedonia, nel II secolo a.C., ha interdetto i ginnasi a ubriachi, pazzi, liberti e rispettivi figli, a chi si prostituiva, ai piccoli commercianti che si raccoglievano intorno all’agorà (disprezzati socialmente) e, inoltre, a chi aveva più di trent'anni (questi ultimi potevano esercitarsi solo in palestre private). Quando si parla di palestre e ginnasi non ci si può esimere dal fare riferimento ai rapporti pederotici (fig.33) che univano maschi adulti a giovani dello stesso sesso. Tutto ciò all'epoca non solo era tollerato, ma anche incoraggiato perché si credeva che, in questo modo, i ragazzi coinvolti avrebbero avuto validi modelli di riferimento da seguire nella figura del loro protettore. I fanciulli non dovevano essere del tutto imberbi (dovevano avere più di 12 anni) altrimenti il rapporto sarebbe stato considerato riprovevole. Occorreva che l'adulto corteggiasse il ragazzo con perseveranza (invitandolo ad esempio ai simposi o offrendogli doni). Era considerato un onore e una tappa educativa obbligata per questi giovinetti essere oggetto di cotante attenzioni perché significava che il loro valore, la loro formazione e la loro personalità erano molto apprezzati. I ragazzi però, dal canto loro, non dovevano far nulla per attirare l'attenzione: ecco perché nelle palestre, luogo privilegiato per questi adescamenti dal momento che ci si allenava a corpo nudo, essi dovevano sedersi con le gambe chiuse e distese. I giovani non dovevano cedere subito alle avances dei loro spasimanti, ma anzi era d’obbligo mostrarsi restii fino a quando non si era convinti della serietà delle intenzioni del corteggiatore. Il rapporto pederotico coinvolgeva due maschi di differenti età che, proprio per il fatto di appartenere allo stesso sesso, potevano condividere le stesse idee, gli stessi valori e gli stessi spazi. Le donne, invece, erano considerate inferiori (come affermano anche Platone e Aristotele) e, per questo motivo, il sentimento che gli uomini provavano nei loro confronti non poteva essere chiamato “amore”: tra i due sessi non poteva esistere, dunque, né alcun tipo di eros, né dialogo. 

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fig.33

Dopo questa breve parentesi ritorniamo a parlare dello sport nell’antica Grecia. Tra i due maggiori ginnasi di Atene ricordiamo l'Accademia e il Liceo. L'Accademia sarà scelta come sede della scuola filosofica di Platone nel 386 a.C.: si componeva di un grande parco costellato da monumenti religiosi e strutture sportive. Presso il Liceo, Aristotele fonderà nel 335 a.C. la sua scuola. ll ginnasio diverrà un luogo deputato non solo all’allenamento fisico, ma anche alla preparazione intellettuale per dispute, orazioni e discussioni. A completamento della trattazione, ecco qui di seguito alcune testimonianze del rapporto tra arte e sport.

Coppia di corridori Villa dei Papiri Ercolano copia di originali greci del IV secolo a.C. (fig.34) Gli atleti sono nudi e concentrati, colti nel momento di tensione massima prima della gara. La gamba sinistra è avanzata mentre la destra è in posizione arretrata con il piede leggermente sollevato. Le mani sono tese. Un atleta ha lo sguardo rivolto in lontananza leggermente a destra e l'altro a sinistra. Sappiamo con certezza che non si tratta di lottatori perché, al contrario di questi ultimi che si affrontano da vicino, lo sguardo è diretto in lontananza e, inoltre, la muscolatura delle spalle è esile. L'avanzamento del piede sinistro è tipico dei corridori in partenza. Questa coppia di efebi deriva da un modello greco e serviva ad adornare la Villa romana dei Papiri a imitazione dei ginnasi greci. Non è esclusa l'allusione alla vita come una corsa che ha come principale obiettivo il raggiungimento della gloria.

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fig.34

Pugile a riposo o Pugile delle Terme scultura in bronzo (seconda metà del IV secolo a.C.) Roma Museo nazionale romano (fig.35) L'atleta è raffigurato a riposo dopo un incontro durissimo. Ha riportato ferite alla testa. È seduto, ha incrociato le braccia sulle ginocchia e ha le gambe leggermente divaricate.  La schiena è prona in avanti. La testa è ripresa mentre si sta voltando come ad osservare qualcosa. Lo strato adiposo sui fianchi mostra un certo appesantimento dovuto all'età. La barba folta e ben curata è simbolo di dignità. L'occhio destro è tumefatto e le orecchie sono gonfie: probabilmente l'uomo ha riportato gravi danni all'udito (fig.36). Il naso é schiacciato e deformato. La bocca è infossata ed è tenuta aperta per poter respirare. Ci sono tracce di tagli sulla fronte, sulle guance e sulle orecchie. Il sangue è colato sul braccio destro e sulla gamba. L'atleta indossa tipici guantoni diffusi nel IV secolo a.C.: le quattro dita (ad eccezione del pollice) sono infilate in un anello appoggiato su una sorta di cuscinetto realizzato con strisce di cuoio che fasciano le nocche. Un guanto di cuoio copre il braccio dal gomito in giù. La figura ricorda Ercole, simbolo dell'atleta vincitore moralmente degno. Le varie parti della statua sono state realizzate separatamente e successivamente saldate tra loro. Le dita del piede destro e parte delle mani risultano consumate perché evidentemente erano state toccate assai frequentemente poiché la scultura era collocata in un luogo pubblico ed era venerata dal momento che si riteneva avesse poteri taumaturgici. Le ferite sono rese in maniera realistica.

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fig.35
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fig.36

Anfora panatenaica con incontro di pugilato Museo nazionale villa Giulia (fig.37) Gli atleti hanno le mani fasciate per proteggersi le dita. A sinistra appare un giudice che indossa una tunica a righe ed impugna un'asta.

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fig.37

 

 

 

culturnauti in viaggio

Per la rubrica Culturnauti in viaggio vi racconto della mia tappa ad Olimpia di un tour da me fatto quest'estate che ha riguardato la Grecia classica e le  isole Saroniche.

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01. ingresso al sito archeologico
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fig.02 tempio di Eera

Davanti il tempio di Era (datato 600 a.C.) viene fatto bruciare ogni quattro anni il fuoco olimpico a ricordo del fatto che nell'antichità era tenuto acceso per tutti i giorni delle gare. Le colonne originariamente erano di legno. Nella stanza posteriore erano custodite tavolette di oro e di avorio con sopra scene mitologiche e statue famose.

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fig.03 albergo

Le Olimpiadi si svolgevano nei mesi più caldi. I più ricchi allestivano comodi padiglioni o erano ospitati nel Pritaneo, vicino il tempio di Era. I senatori romani si fecero costruire un albergo di lusso di cui rimangono solo le fondamenta. A causa del caldo si verificavano casi di morte per drisidratazione nonostante la presenza di pozzi che servivano all'approvvigionamento idrico.

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fig.04 tempio di zeus

All' interno del tempio dedicato a Zeus era custodita una sua statua gigantesca, opera di Fidia, una delle meraviglie del mondo antico. Dietro la struttura cresceva un olivo i cui rami servivano a incoronare i vincitori : secondo il mito era stato Eracle in persona a piantarlo. Vicino il tempio c'era un altare consacrato a Zeus molto particolare perché era realizzato con le ceneri delle vittime sacrificate e impastate con l'acqua del fiume Alfeo. Pensate il loro accumulo arrivò fino a ben otto metri di altezza! Le vittime erano sacrificate alla base e le cosce venivano collocate sulla sommità in modo da essere date alle fiamme.

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05. palestra

La palestra era un edificio quadrato costruito nel III secolo a.C., organizzato in diversi ambienti ove gli atleti si cospargevano il corpo con l'olio prima degli allenamenti,  si allenavano nella lotta, nel pugilato e nel salto.

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fig.06 ingresso stadio
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fig.07 stadio
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fig.08 stadio linea di partenza 

Nello stadio si entrava da un ingresso coperto. Conteneva fino a 45.000 spettatori. 

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fig.09 terrazza dei tesori

Su di un'alta terrazza c'erano i thesauroi, piccoli tempietti in cui venivano custodite le offerte votive consacrate ad Olimpia, dono delle città greche, soprattutto colonie (Siracusa, Sicione, Selinunte, etc).

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fig.10  laboratorio di Fidia
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fig.11 tazza Fidia

Il laboratorio di Fidia, trasformato nel V secolo d.C. in una chiesa bizantina, era di forma rettangolare ed era affiancato da ambienti di servizio, forse magazzini, ove sono stati ritrovati scarti della lavorazione della gigantesca statua di Zeus. Il museo di Olimpia conta tra i reperti i resti di una tazza con sopra l'iscrizione “Io sono di Fidia”, evidentemente appartenuta al celebre architetto (reperto 10). 

 

 

Bibliografia

    • L.Pepe Gli eroi bevono vino Il mondo antico in un bicchiere Casa editrice Laterza Bari, 2018
    • Catalogo mostra Nike Il gioco e la vittoria Roma Colosseo luglio 2003- gennaio 2004, Casa editrice Electa
    • I.Fiorino La cucina Storia culturale di un luogo domestico Casa editrice Einaudi Torino, 2019
    • AA.VV. Cibo La storia illustrata di tutto ciò che mangiamo Edizioni Gribaudo,2018
    • A.Pavone Bacco divino il vino nella storia nella letteratura e nelle tradizioni popolari Casa Editrice Scipioni 72, 2001
    • A.Ferrari La cucina degli dei Miti e ricette dall'antica Grecia alla Roma imperiale Edizioni Blu, 2014
    • Catalogo mostra Cibi e sapori del mondo antico 18 marzo2005-15 gennaio 2006 Edito da Sillabe e Firenze Musei, 2005
    • Catalogo Alle origini del gusto Il cibo a Pompei e nell'Italia antica Asti Palazzo Mazzetti marzo-luglio 2015, casa editrice Marsilio
    • M.Visser Storia delle buone maniere a tavola Le origini, l'evoluzione e il significato Slow Food Editore, 2020
    • G. Guidorizzi S.Romani In viaggio con gli dei Guida mitologica della Grecia Raffaello Cortina editore, 2019

Letture consigliate

    • H.Eduard Jacob I seimila anni del pane Storia sacra e storia profana Casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, 2019
    • M.Donà Filosofia del vino Tascabili Bompiani, Milano, 2003
    • Pausania Viaggio in Grecia Olimpia ed Elide (Libro V e VI) Edizioni BUR Rizzoli, 2018

Per le Unità di Apprendimento

  • Il vino. Un percorso interdisciplinare contenuta nel testo Proposte di unità di apprendimento interdisciplinari per il biennio con Educazione Civica di Rossella Carpentieri Edizioni Loescher, 2021.

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